Ambiti del counseling
Una relazione d’aiuto specifica
che opera tra pubblico e privato
per promuovere consapevolezza
Il counselor può essere genericamente definito come il professionista che in un certo contesto, pubblico – ospedaliero, religioso, scolastico, aziendale – oppure privato, è capace di sostenere in modo adeguato una relazione con un interlocutore che manifesta temi personali, privati ed emotivamente significativi, fornendo sostegno a chi ne fa richiesta all’interno di tale contesto. Ill suo intervento ha l’obiettivo di indirizzare verso una possibile soluzione delle problematiche presenti in quel dato ambito.
In teoria non esiste un campo di attività specifico per la relazione di counseling, che può avvenire in ogni tipo di contesto, a livello individuale o di gruppo: in ambito privato (non solo individuale, ma anche di coppia o familiare), comunitario (scolastico, universitario, religioso, interculturale), lavorativo (aziendale, socio-lavorativo), socio-assistenziale (ospedaliero, medico, e di disagio in genere) oltre che artistico, esistenziale, filosofico. In particolare, all’interno di comunità come ospedali, scuole, università, aziende, comunità religiose, l’intervento di counseling è mirato da un lato a risolvere nel singolo individuo il conflitto esistenziale o il disagio emotivo che ne compromettono un’espressione piena e creativa, dall’altro può inserirsi come elemento facilitante il dialogo tra la struttura e il dipendente.
Presentiamo qualche esempio.
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Il counseling in ambito scolastico e universitario
Il counseling scolastico “si riferisce ai principi della comunicazione efficace e delle dinamiche relazionali, in quanto premesse necessarie per il conseguimento di risultati positivi nell’ambito dei processi di insegnamento/apprendimento. Si occupa della relazione educativa anche riguardo a competenze di ascolto attivo con ricadute dirette sul versante preventivo, di particolare rilevanza nel periodo scolastico in generale, ma essenziale nel periodo adolescenziale” (1). Può essere applicato a un primo livello come base per instaurare un piano di comunicazione e relazione efficace con gli studenti, e in tal caso riguarda competenze degli insegnanti e degli operatori scolastici; oppure essere un vero e proprio intervento di counseling specialistico, svolto da counselor professionali.
Nel primo caso il processo di insegnamento/apprendimento presuppone che lo studente sia “protagonista del processo formativo”: deve essere stimolato in modo da poter “imparare a imparare” e facilitato nell’acquisizione dell’autonomia e della consapevolezza relative.
Il colloquio di counseling professionale si colloca invece all’interno dei Centri di Informazione e Consulenza o CIC (2), istituiti con la finalità di migliorare le relazioni istituzionali, ma soprattutto di migliorare la qualità della vita degli studenti in ambito scolastico, diminuirne il malessere e il disagio, aiutandoli nel loro percorso di orientamento personale.
Tali centri, a volte in collaborazione con esperti di altri istituti o enti, hanno assunto la fisionomia di spazi di ascolto per gli studenti, gestiti dagli stessi insegnanti o da counselor esterni, a disposizione degli studenti per colloqui individuali o attività di gruppo, a cadenza settimanale o quindicinale. Come sottolinea Di Fabio, “la figura dell’insegnante non deve sovrapporsi a quella dell’ascoltatore, per non ingenerare confusioni di ruolo e attivare dinamiche che si riverberano sul piano della valutazione scolastica”. E “mentre l’attività di tutoring sembra particolarmente congrua per il personale insegnante, l’ascolto attivo come counseling professionale è da ritenersi più pertinente a un personale specialistico, avulso da problematiche valutative in senso scolastico” (3).
Di Fabio sottolinea che tale attività di counseling specialistico all’interno della scuola andrebbe rivolta proficuamente agli studenti e alle loro famiglie, con l’obiettivo di facilitare processi che hanno a che fare non solo con profitti scolastici insufficienti o discontinui, ma anche per tematiche legate alla disciplina, a disturbi di comportamento, a problemi relazionali in classe, problemi familiari o economici, risultando “particolarmente indicato non in presenza di disturbi strutturati, ma piuttosto di difficoltà congiunturali, spesso connesse con la crescita e con la stessa realtà scolastica”: problemi per esempio di solitudine, di mancanza di scopi e interessi, conflitti acuti in famiglia, difficoltà a instaurare amicizie, disimpegno e protesta ecc. Purtroppo, tale attività è ancora sporadica e legata alla “buona volontà” dei singoli direttori di istituti.
Sempre in ambito scolastico è prevista la possibilità di svolgere attività di counseling di classe o di gruppo. Mentre nel secondo caso il gruppo è costituito ad hoc, e non ha motivo di incontrarsi come tale al di fuori dell’attività di counseling, la classe è un gruppo costituito istituzionalmente, con una sua storia e individualità, e si ritrova come tale anche a prescindere da tali attività. Il counseling di classe può facilitare situazioni conflittuali all’interno, tra gli studenti, oppure tra studenti e insegnanti.
In ambito universitario, i servizi di aiuto e consulenza psicologica sono abbastanza diffusi negli atenei italiani, ma anche in questo caso nascono per lo più da iniziative locali delle singole università (4).
Va tenuto conto che gli studi universitari si svolgono in un periodo di vita considerato “di passaggio” dall’adolescenza all’età adulta, che come tale può già richiedere un aiuto, soprattutto per quelli studenti che hanno alle spalle situazioni familiari carenti o complicate. Tra i fattori di disagio per i quali può essere opportuno un intervento di counseling va dunque considerato, oltre al problema della scelta della facoltà, non sempre attuata in base alle proprie esigenze, desideri e capacità ma per imitazione o pressioni subite, quello dell’impatto con un ambiente che può essere totalmente diverso dalla realtà scolastica, sociale e affettiva precedente. Inoltre per una certa percentuale di studenti si presenta il problema della difficoltà a chiudere il ciclo di studi, connesso a quello di progettare un percorso di vita personale e lavorativo, e a volte alla prospettiva di una situazione occupazionale precaria e/o poco gratificante.
Da segnalare la nascita, nel 2002, dell’Associazione universitari relazione d’aiuto e counseling (AURAC), i cui soci si riuniscono annualmente in convegni presso diverse sedi universitarie, “con la finalità da un lato di raccordare e implementare l’apertura di centri di counseling universitari, dall’altro di supervisionare e fare da elemento propulsivo per la creazione di percorsi formativi universitari in grado di facilitare l’affermazione del counseling e della relazione d’aiuto con solide competenze psicologiche condivisibili a vari livelli di professionalità (5).
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Il counseling in ambito socio-sanitario e ospedaliero
In ambito sanitario, sottolinea Di Fabio (6), è importante chiarire la differenza, a livello operativo, tra utilizzo delle abilità di counseling sul piano comunicativo, utile e anzi auspicabile per chiunque lavori a contatto con pazienti, e l’attività formale e specialistica di counseling che richiede formazione e supervisione adeguate.
Il counseling specialistico in ospedali, cliniche, reparti chirurgici e centri sanitari può essere praticato pertanto da medici, psicologi, operatori sanitari che abbiano ricevuto apposita formazione, oppure può informare la loro attività sulla base del rispetto dei principi non direttivi della comunicazione, nel caso abbiano effettuato soltanto corsi di formazione o di aggiornamento di breve durata; e in tal caso può riguardare anche il personale infermieristico.
Tale attività di counseling si applica a diversi settori di intervento, in particolare in relazione a importanti decisioni da prendere per la salute del paziente, o a particolari stati emotivi sui quali intervenire affinché non causino ricadute negative a livello comportamentale. Casi di questo genere riguardano pazienti affetti da gravi infezioni come l’AIDS, difetti genetici, handicap (7), malattie terminali, dipendenze da droga o alcol, oppure in caso di trapianti e autorizzazione all’espianto di organi, oppure ancora in caso di aborto, sterilità, o per morte improvvisa del lattante, ecc.
Un problema comune che si evidenzia nel rapporto medico-paziente e che costituisce un ambito basilare nell’attività di counseling in ambito sanitario è per esempio quello legato al fornire supporto nei momenti di crisi, aiutando le persone (pazienti e loro familiari) ad accettare le informazioni sanitarie e ad agire conformemente a esse in funzione del mantenimento della salute, comunicando in modo comprensibile, culturalmente adeguato e accettabile l’eventuale necessità di modificare certi comportamenti.
Nel caso di malattie terminali, ad esempio, il counseling può essere rivolto sia al paziente sia ai suoi familiari e può rivelarsi opportuno nei vari stadi della malattia: la prima diagnosi, il momento in cui viene emessa la prognosi, favorevole o no che sia, la risposta alle terapie con gli eventuali effetti collaterali, i cambiamenti nello stile di vita, il ricovero, le modifiche fisiche e di umore, il periodo terminale vero e proprio. L’intervento di counseling può essere svolto sia all’interno di strutture sanitarie sia a domicilio, tramite strutture di volontariato.
Volendo fare un altro esempio, la SIDS o sindrome da morte improvvisa del lattante – di età compresa tra un mese e un anno di vita (8) – costituisce la prima causa di morte in culla e in tali casi l’intervento di counseling può essere rivolto ai genitori sia nel caso di bambini già nati e a rischio, sia in caso di elaborazione del lutto se il bambino è deceduto, sia anche in caso di nuova gravidanza per coloro che hanno già subito la perdita di un bimbo per questo tipo di patologia.
In merito agli interventi di counseling in ospedale, va rilevato che “la progressiva parcellizzazione delle competenze, che caratterizza attualmente la pratica medica, ha indotto a scotomizzare l’importanza della funzione pedagogica del medico, nel senso proprio di individuare e valorizzare le risorse personali del paziente in modo che vengano utilizzate nella risoluzione dei problemi inerenti la malattia” (9).
Il counseling si rivela particolarmente utile nella medicina di base, ovvero con i professionisti che si confrontano maggiormente con gli aspetti quotidiani delle “patologie comunicative” nel loro ambito professionale, ovvero con sintomi “i cui primi segnali sono costituiti dalle parole, dagli atteggiamenti, dai comportamenti del paziente” (10) ; qualche esempio è costituito dal timore di essere malati, dalla scelta di continuare a fumare o a mangiare in un certo modo anche in presenza di patologie collegate, dal professare un desiderio di benessere senza però voler cambiare stile di vita ecc.
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Il counseling in ambito lavorativo
Il counseling aziendale, molto diffuso nei paesi anglosassoni, si è sviluppato sulla base di istanze legislative, sociali ed economiche, favorendo la nascita di servizi interni ed esterni all’organizzazione, finalizzati a un miglioramento della qualità della vita del dipendente, e di conseguenza della sua produttività in azienda. L’aumento dei fenomeni di stress in seguito ai ritmi sempre più incalzanti della vita moderna, in parallelo con l’esigenza economica di utilizzare nel modo migliore il personale realizzando una maggiore resa produttiva, ha contribuito a evidenziare l’importanza di identificare e modificare processi e ambienti di lavoro stressogeni.
L’attività di counseling, in tal caso, si pone dunque principalmente al servizio del cliente/dipendente dell’azienda, avendo come obiettivo i benefici che questi può trarre dal servizio in quanto persona, prima che i benefici per l’azienda stessa. Del resto, dato che la soddisfazione dei lavoratori e impiegati si riflette sulle loro motivazioni professionali e quindi sulla loro produttività, è ormai chiaro che “le problematiche irrisolte dei dipendenti tendono a ripercuotersi sulle loro prestazioni, mentre è proprio il riconoscimento e il recupero della dimensione umana a favorire il livello delle prestazioni” (11) .
Oltre a rispondere a problematiche individuali, il counseling può essere un intervento verso il quale è indirizzato il dipendente dell’azienda in seguito a problematiche avvertite a livello dirigenziale: dai servizi di career counseling e di bilancio delle competenze, ai programmi di acquisizione di benessere e prevenzione del burnout. Ma può trattarsi anche di un percorso finalizzato invece al ricollocamento professionale e outplacement.
In tema di counseling aziendale vale la pena di sottolineare la differenza tra counseling e coaching (12), termine che è stato esportato dalle discipline sportive a quelle manageriali, passando attraverso l’ambito della selezione del personale specifica della psicologia del lavoro. Dal coaching vissuto come esercizio di allenamento e di preparazione alla prova o prestazione, si è passati a un ambito di valorizzazione delle competenze, con la ricerca di strumenti per lo sviluppo dei singoli, a un coaching al servizio dello sviluppo organizzativo nel suo complesso, dando sempre maggior importanza all’empowerment o rafforzamento del senso di sé e alla mobilizzazione delle risorse personali oltre che professionali.
Nella formazione manageriale oggi si parla molto, inoltre, dell’importanza di sviluppare abilità di ascolto, di comunicazione e di relazione interpersonale da parte del manager: i ruoli di direzione, organizzazione e comando acquistano infatti efficacia tanto maggiore quanto più risultano coniugati con tali competenze, che sono anche alla base di una delega direzionale per la buona riuscita del team di lavoro.
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Il counseling in ambito privato
In ambito privato, ovvero al di fuori di qualsiasi struttura istituzionale o della competenza specifica di professionisti definiti, come medici o psicologi, c’è una “terra di nessuno” in cui “una vasta gamma di disagi esistenziali affliggono persone che hanno bisogno prima di tutto di un orecchio attento e di un cenno d’incoraggiamento, per ritrovare la propria forza e proseguire il proprio cammino” (13) . Il ruolo del counselor è in questi casi di agevolatore o facilitatore nella relazione d’aiuto, anche se in caso di necessità più specifiche, che esulino dalle sue competenze, è in grado di indirizzare il cliente verso un’altra figura professionale più idonea.
Il counseling può rivelarsi particolarmente utile, non solo per individui singoli ma anche in ambito familiare, per affrontare, comprendere e risolvere problemi di relazione interpersonale tra genitori e figli, oppure nella coppia. Si parla anche di counseling sessuologico, relativo alle problematiche presenti nella sfera più intima e nella vita sessuale.
Un’area particolare è quella del counseling artistico, finalizzato a risvegliare e stimolare la creatività in uno specifico campo di applicazione; oppure spirituale, relativo a tematiche di carattere esistenziale, religioso e/o filosofico. Oggi le nuove tecnologie consentono di offrire relazioni di counseling anche telefonico e on line, con il compito di sostenere il disagio della persona soprattutto in emergenza, indirizzandola poi, quando necessario, verso un intervento specialistico o una terapia più specifica.
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Note:
1) Di Fabio Annamaria, Counseling. Dalla teoria all’applicazione, Giunti, Firenze 1999, pag. 284.
2) Il Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenze (DPR 9 ottobre 1990, n. 309) decreta che i provveditorati agli studi istituiscano Centri di Informazione e Consulenza all’interno delle scuole secondarie superiori, rivolti agli studenti, d’intesa con i consigli di istituto e con i servizi per l’assistenza sociosanitaria ai tossicodipendenti. Il Ministero della Pubblica Istruzione, attraverso varie circolari successive, ha esplicitato le modalità di attuazione di tali centri, sottolineandone in particolare il compito di favorire il benessere personale e scolastico dello studente.
3) Di Fabio A., op. cit., pag. 287. Da tenere presente la differenza tra la figura del counselor e quella del tutor in senso lato: il counselor, come esperto della relazione, aiuta il soggetto a trovare delle soluzioni personali a un problema; il tutor, come esperto della materia, aiuta nell’apprendimento di una data abilità o competenza, conoscendo la soluzione del problema e trasmettendola a un altro soggetto.
4) Cfr. Di Fabio Annamaria, Sirigatti Saulo, Counseling: prospettive e applicazioni, Ponte alle Grazie, Firenze 2005, pagg. 174 e seguenti. Cfr. anche Sciaky Riccardo Il counseling nell’università, in De Marinis Donatella, Montani Giovanni (a cura di), Professione counseling: individuo, azienda, società, Il Veltro editrice, Roma 2006. Nel febbraio 2003, solo per citare un esempio, dalla collaborazione tra l’istituto di Psicologia della Facoltà di Medicina e Chirurgia e il COSP, Centro di Servizio di Ateneo per l’Orientamento allo Studio e alle Professioni, è stato avviato un servizio di counseling aperto a tutti gli studenti dell’Università degli Studi di Milano, dal quale sono stati seguiti, fino al 2009, circa 400 studenti.
5) Di Fabio A., Sirigatti S. (a cura di), op. cit., pag. 36. Cfr. anche pagg. 208 e seguenti. In occasione del primo Congresso nazionale sul counseling universitario, nel 2002, l’AURAC ha definito con il termine counseling “una specifica relazione professionale d’aiuto realizzata attraverso un peculiare intervento comunicativo finalizzato ad affrontare disagi e difficoltà emergenti in momenti critici dell’esistenza, attraverso l’attivazione e la riorganizzazione delle risorse dell’individuo e con l’obiettivo di favorire in lui scelte e cambiamenti adattivi” (Ibidem, pag. 189).
6) Di Fabio A., op. cit., pag. 277.
7) Cfr in particolare Di Fabio A., Sirigatti S. (a cura di), op. cit., pagg. 284 e seguenti.
8) Di Fabio A., op. cit., pag. 281.
9) Di Fabio A., Sirigatti S. (a cura di), op. cit., pagg. 192-193.
10) Di Fabio A., op. cit., pag. 284.
11) Ibidem, pag. 292.
12) La figura del coach (in inglese “allenatore” o “guida”, derivato da “coach”, carrozza) designa in origine una “figura professionale che ha competenze sia in termini di training, volte allo sviluppo delle capacità dell’atleta in generale, che in termini gestionali, volte a ottimizzare, durante la gara o l’evento sportivo, quelle stesse capacità precedentemente potenziate”. Di Fabio A., Sirigatti S. (a cura di), op. cit., pag. 240.
13) Danon Marcella, Counseling. Una nuova professione d’aiuto, RED, Como 2000, pag. 24.